Abusi e violenza domestica. Azioni e tutele nel processo civile, violenza di genere

Convegno del 09/12/2024 “I mille volti della violenza di genere

Stralcio relazione Avv. Sammarco

Avv. Serena Sammarco, nel convegno "Abusi e violenza domestica. Azioni e tutele nel processo civile"
Avv. Serena Sammarco, nel convegno “Abusi e violenza domestica. Azioni e tutele nel processo civile”

Da civilista ho cercato di analizzare quali fossero le azioni esperibili e le relative tutele azionabili in ambito civile, poiché la maggior parte degli atti di violenza si sviluppano proprio nel contesto familiare, si parla spesso infatti di “violenza domestica” locuzione che designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo famigliare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima. Essa è infatti anche definita violenza da partner intimo ed è statisticamente agita, in termini significativi, più frequentemente dagli uomini sulle donne.



La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica redatta a Istanbul, l’11 maggio 2011, redatta dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e gli altri firmatari della presente Convenzione, all’art. 3 recita

<< Articolo 3 – Definizioni Ai fini della presente Convenzione:

  1. con l’espressione “violenza nei confronti delle donne” si intende designare una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne, comprendente tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
  2. l’espressione “violenza domestica” designa tutti gli atti di violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima;
  3. con il termine “genere” ci si riferisce a ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti che una determinata società considera appropriati per donne e uomini;
  4. l’espressione “violenza contro le donne basata sul genere” designa qualsiasi violenza diretta contro una donna in quanto tale, o che colpisce le donne in modo sproporzionato;
  5. per “vittima” si intende qualsiasi persona fisica che subisce gli atti o i comportamenti di cui ai precedenti commi a e b;
  6. con il termine “donne” sono da intendersi anche le ragazze di meno di 18 anni >>

La violenza maschile sulle donne non rappresenta un’emergenza, ma un fenomeno strutturale caratterizzato da una natura multifattoriale al cui interno sono ravvisabili aspetti sociali, culturali politici e relazionali che sono tra loro interdipendenti. Ho più volte espresso il mio punto di vista in tema di violenza di genere, si tratta di un problema culturale, ancora oggi siamo costrette a scontrarci con retaggi culturali, barriere mentali e pregiudizi che non consentono di sentirci, nonostante gli impegni profusi, nel nostro quotidiano al pari degli uomini; proprio perché ci scontriamo con stereotipi di genere all’interno dei quali il nostro sesso è stato sconfinato per secoli, l’identità femminile negata per secoli,

Un’emergenza, infatti, si caratterizza per un durata definita nel tempo, ha un inizio e una fine, rappresenta una perturbazione dello stato naturale delle cose. La violenza contro le donne, compresa la sua declinazione domestica, invece, è un fenomeno sistemico, che affonda le proprie radici nella costruzione sociale e culturale della disparità di potere tra i generi presente a tutte le latitudini, trasversale ad aree geografiche, condizioni socioeconomiche, religione.

L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) che ha individuato nel 25 novembre1 la ricorrenza della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, l’ha definita come<< la più diffusa violazione dei diritti umani >>. Essa è strutturale, sistematica e trasversale, cioè fa parte integrante, seppur in forme non sempre eclatanti, della struttura della nostra società, che ancora non si è liberata della figura del pater familias di romana memoria, a sua volta derivante dalla cultura greca, con germi in culture ancora più antiche. La violenza contro le donne si ripete nel sistema sociale e nel contesto economico, istituzionale e credo religioso.

Capire il perché del fenomeno è un compito arduo e complesso: basti dire che da millenni si è strutturato un pensiero, più o meno consapevolmente condiviso da uomini e donne e sostenuto da certa cultura conservatrice, che vede la diversità della donna come naturale inferiorità mentale e che considera il sesso femminile debole e passivo e il maschile forte e razionale. E un pensiero che condiziona la vita di uomini e donne e costituisce, consentitemi l’espressione, la “base malata” per rapporti violenti, stupidamente costurito sulle differenze fsiche e sessuali, sulla biologia e sulla fisiologia diverse fra l’uomo e la donna (che partorisce, allatta) e sui ruoli culturalmente acquisiti, come se contasse la sola relatà fisica.

Non è stata mai colta l’essenza dell’umanià e dell’uguaglianza fra essere umani, uguaglianza che riscontriamo al momento della nascita, nascita uguale nella sua dinamica per ognuno di noi, femmine e maschi, e su di essa si fonda l’uguaglianza e la parità umana di tutti. Solo a partire da un fondamentale situazione di uguaglianza poi si svilupperanno le differenze personali, in una identità originale per ciascun essere umano, in cui la differenziazione sessuale è fondamentale; ma tali differenze non significano mai superiorità o inferiorità, bensì varietà, ricchezza di scambi umani e possibilità di conoscenza.

Essa può diversificarsi a seconda dei contesti sociali ma non cambia nella sostanza. Tuttavia, la storia antichissima di sopraffazione e potere materiale tra uomo e donna potrebbe portare a pensare che tutto ciò sia naturale, e che la violenza fisica sia propria del sesso maschile. Ma andando oltre i preconcetti, certamente possiamo affermare che la violenza non è connaturata all’essere umano, non è naturale e né tantomeno originaria. L’essere umano, maschio o donna che sia non nasce violento eventualmente ci diventa violento. Di certo, la violenza contro le donne o violenza di genere ha origini ben lontane nel tempo ed è sempre stata collegata ad una patologia degli affetti e del pensiero, del singolo e della società.

Il 25/11 la maggior parte delle testate giornalistiche hanno riferito che nell’anno 2024 sono state uccise 100 donne, << In aumento stupri, stalking, maltrattamenti in famiglia e violazioni di divieto di avvicinamento nei primi 6 mesi del 2024. E’ quanto emerge dal report ‘Il Punto-Il pregiudizio e la violenza contro le donne’ realizzato dal Servizio analisi criminale della Direzione centrale Polizia criminale, ufficio interforze del Dipartimento della Ps. In calo invece i femminicidi (-18%) >>.

Ed è stato un articolo del Corriere della Sera che mi ha colpita maggiormente, << Un centinaio di donne uccise nel 2024, una ogni tre giorni: i numeri della violenza di genere >> << La prima si chiama Rosa D’Ascenzo. Aveva 71 anni ed era di Sant’Oreste, in provincia di Roma. Ad ucciderla ci ha pensato il marito. L’ha portata al pronto soccorso di Civita Castellana, a Viterbo, e ha detto: «Rosa è caduta dalle scale». Ci hanno messo poco i medici a capire che no, Rosa non è caduta dalle scale ma è stata presa a colpi in testa con un oggetto. Pare una padella. Era il primo gennaio 2024. Dopo di lei ci sono state Sara, Marina, Laura, Eleonora, Letizia, Mia, Elisa, Daniela, Giuseppina, e ancora Maria, e ancora Elisa e così via.Novantanove nomi che sono quelli delle donne uccise — come evidenzia anche il ministero dell’Interno (ma c’è chi fa rientrare nel novero anche altri delitti, alzando così il conto totale) — dall’inizio dell’anno a oggi e che confermano un dato allarmante che sembra non allarmare mai abbastanza: ogni tre giorni in Italia una donna viene ammazzata. Ogni anno ci domandiamo come invertire questo dato, come ridurlo: ma chi si ricordava la storia di Rosa D’Ascenzo? >>

E allora, dobbiamo attivare tutti gli strumenti possibili e che il legislatore ci fornisce.

La donna è vittima di violenze fisica, psicologica, economica da parte del marito, del compagno e quindi la nostra chiacchierata verterà sulle tutele civilistiche che rappresentano dunque un complesso di azioni esperibili in parallelo a quelle penali disciplinate dal noto Codice Rosso.

Sicuramente l’avvento della nota riforma Cartabia ha inserito un gruppo di norme nel codice di procedura civile che si applicano nei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori, recita l’art. 473 bis 40 cpc norme in vigore dal 1° marzo 2023 che accelerano tempi delle procedure e rafforzano le tutele. Scopo dell’ introduzione di dette norme non è stato solo quello di ottemperare agli obblighi imposti dalla Convenzione di Istanbul, bensì soprattutto quello di evidenziare l’importanza che deve essere rivolta al contrasto a questa forma di violenza nell’ambito dei procedimenti disciplinati dal nuovo rito in materia di persone, minorenni e famiglie.

Sebbene conflittualità e violenza domestica possano apparire come nozioni similari, in realtà dal punto di vista ontologico sono profondamente differenti. Infatti, mentre la conflittualità presuppone la parità tra le parti legate da relazioni disfunzionali, la violenza implica una prevaricazione di una parte sull’altra.

Non può infatti parlarsi di conflitto in presenza di violenza poiché nel primo vi è un concorso tra le due condotte dei soggetti coinvolti, nel mentre nella seconda vi sarà l’ individuazione di un solo responsabile della condotta disfunzionale che dovrà essere identificato da parte del giudice come l’autore della violenza.

Qualora venga accertata la sussistenza di violenza domestica la bigenitorialità non deve essere garantita ad ogni costo ed il rifiuto del minore di frequentare il genitore violento deve ritenersi più che legittimo.
In situazioni di questo tipo solo un percorso di recupero da parte del genitore violento può giustificare la ripresa delle relazioni.

La norma in esame si presenta piuttosto generica sotto il profilo dell’elencazione delle fattispecie che possano ivi trovare tutela. Il disposto, infatti, fa riferimento del tutto genericamente a quei procedimenti in cui siano allegati abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere poste in essere da una parte nei confronti dell’altra o dei figli minori.

La relazione illustrativa al D.Lgs. 10.10.2022 n. 149 precisa che proprio la dicitura generica dell’art. 473 bis 40, nel quale non vi è indicazione di uno specifico elenco di condotte rientranti nel campo di azione delle disposizioni in oggetto, è finalizzato ad estendere la tutela civile contro la violenza domestica a tutte le condotte che possono ritenersi meritevoli di tutela.

La norma non ricerca la presenza di reati, bensì di atti di violenza. Ed infatti si potrebbero avere condotte non perseguibili penalmente (danneggiamenti non punibili, minacce non gravi, meri insulti spia di violenza), ma comunque giuridicamente rilevanti in ambito civile. Ogni condotta, seppur non penalmente rilevante, dovrà essere meritevole di attenzione e conseguente tutela, rivestendo grande importanza nell’assumere decisioni anche in ambito civile aventi ad oggetto, tra le altre, le domande di affidamento e collocamento dei figli minori. Tali domane, infatti, richiedono necessariamente una valutazione complessiva della personalità dei componenti del nucleo familiare strettamente connesse al conseguente accertamento della capacità genitoriale.

Peraltro, una recentissima sentenza della Corte di Cassazione n. 22294 del 2024 la Corte di Cassazione ha sancito che anche un singolo grave episodio di violenza domestica può giustificare l’addebito della separazione. Questa sentenza si inserisce in un filone giurisprudenziale che riconosce la violenza domestica come causa valida per l’addebito della separazione, anche in assenza di reiterazione. La Corte ha richiamato precedenti sentenze ( 3923/2018 , n. 14882/2017, n. 2653/2016, n. 7129/2015) che avevano già affermato questo principio, ribadendo l’importanza di tutelare le vittime di abusi e di non tollerare comportamenti violenti all’interno della vita coniugale. La sentenza n. 22294 del 2024 della Corte di Cassazione rappresenta un importante precedente giuridico, influenzando futuri casi di separazione e addebito. Contribuisce inoltre a una maggiore consapevolezza legale riguardo alla violenza domestica, affermando che anche un atto isolato di abuso è inaccettabile e può avere conseguenze legali dirette. Questo verdetto non solo tutela le vittime, ma promuove un ambiente coniugale basato sul rispetto reciproco e la sicurezza.

La domanda si propone sempre con ricorso che deve indicare, oltre a quanto previsto dagli articoli 473 bis 12 e 473 bis 13, gli eventuali procedimenti, definiti o pendenti, relativi agli abusi o alle violenze.
La possibilità di ricorrere al giudice in caso di violenza domestica o abusi, indipendentemente e prima dell’eventuale procedimento di separazione, divorzio o affidamento, è regolata dall’art. 473 bis. 40 e seguenti c.p.c.

La forma della domanda è quella del ricorso, nel quale l’interessato deve indicare da subito: i mezzi di prova e i documenti, in caso di figli minori gli elementi per ricostruire redditi e patrimoni delle parti, e deve dare conto dei procedimenti definiti o pendenti relativi ad abusi o violenze, allegando oltre ai provvedimenti relativi anche copia degli accertamenti svolti e dei verbali relativi all’assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali.

Anche in questo caso il giudice ha ampi poteri istruttori per accertare le condotte, e poteri di accelerazione del procedimento, abbreviando fino alla metà i termini per gli adempimenti che precedono l’udienza di comparizione. All’esito dell’istruttoria, nella quale il giudice può disporre d’ufficio prove testimoniali formulando i capitoli di prova, acquisire atti presso uffici pubblici e relazioni ed interventi delle forze dell’ordine, nominare un consulente tecnico, in caso di fondatezza della domanda, vengono emessi gli ordini di protezione.

Grande importanza assume il contenuto dell’art. 64 delle disp. att. c.p.c., ove si prevede il passaggio degli atti dei procedimenti penali al giudice civile, norma questa che deve essere letta in combinato disposto con il secondo comma della norma in esame, in cui si prevede che al ricorso debba essere allegata copia di eventuali verbali di assunzione di sommarie informazioni e di prove testimoniali, copia dei provvedimenti relativi alle parti ed al minore emessi dall’Autorità Giudiziaria (civile, penale, minorile) o da altra Pubblica Autorità.

Dovrà, poi, essere allegato anche ogni altro accertamento svolto dalla parte che instaura il procedimento, ovvero qualunque allegazione che possa contenere elementi utili al fine di provare la violenza o l’abuso.
Non è richiesto, invece, di depositare tutti gli atti penali, tenuto conto che solo alcuni possono avere rilevanza per il giudice civile, ma non si esclude che il difensore depositi ogni atto che ritenga utile per offrire la prova della sussistenza delle violenze allegate.

L’onere della prova viene posto a carico della parte che lamenta di essere vittima di violenza o di abuso, ma ogni altra parte processuale, compreso il Pubblico Ministero, è tenuta ad allegare i provvedimenti ed ogni altro atto dal quale si possano desumere elementi di prova volti all’accertamento della sussistenza e della fondatezza delle allegazioni di violenza ed abuso per cui si agisce in tutela.

L’art. 473 bis 42 si occupa di disciplinare l’iter procedimentale che deve essere seguito in materia di violenza e abusi, improntandolo alla massima celerità per ogni fase processuale. Ciò che caratterizza tale procedimento è l’ordine di accertamento, in quanto l’istruttoria viene collocata prima dei provvedimenti presidenziali.

L’autorità giudiziaria può anche d’ufficio e senza alcun ritardo porre in essere tutte le attività previste dagli articoli che vanno dal 473 bis 40 al 473 bis 46 c.p.c., compresa la riduzione de termini fino alla metà e l’assunzione di prove anche al di fuori dei limiti di ammissibilità individuati dal codice civile, fatto salvo il diritto al contraddittorio e quello alla prova contraria.

Per il particolare caso in cui la persona vittima di violenza o abusi sia collocata presso una struttura protetta, il Giudice, a tutela della sua sicurezza, dispone la secretazione dell’indirizzo di residenza o dimora.

Qualora, invece, nei confronti di una delle parti sia stata pronunciata sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche non definitiva, o provvedimento cautelare civile o penale o comunque penda procedimento penale successivo ai termini di cui all’art. 415 bis del c.p.p. per abusi o violenze, nel decreto di fissazione dell’udienza il giudice non dovrà inserire l’invito alle parti a rivolgersi ad un mediatore familiare.

Detto invito, così come il tentativo di conciliazione, potranno essere rivolti alle parti in un successivo momento e solo allorquando possa essere concretamente ravvisata, a seguito dell’istruttoria, l’insussistenza degli abusi o delle violenze allegate. Ancora, al fine di evitare i contatti diretti tra le parti, il Giudice potrà ricorrere all’udienza da remoto od alla mera differenziazione degli orari di comparizione delle parti, sempre salvaguardando la pienezza del contraddittorio ed il diritto alla prova contraria al fine di assicurare il giusto processo.

Al fine di garantire il coordinamento tra le differenti Autorità, al quinto comma si prevede che sia il Giudice a richiedere, anche d’ufficio e senza ritardo, nello stesso decreto di fissazione udienza, al Pubblico Ministero o alle altre Autorità competenti informazioni in merito ai procedimenti pendenti o già definiti in merito agli abusi e alle violenze allegate, con richiesta di trasmissione degli atti, purché non coperti da segreto istruttorio ex art. 329 del c.p.p., che dovrà avvenire entro 15 giorni dalla richiesta.

Quanto alle attività istruttorie l’art. 473 – bis 44 prevede che La norma in esame attribuisce al giudice tutta una serie di poteri, quali:

– quello di procedere all’ interrogatorio libero delle parti in merito ai fatti ed agli eventi allegati, avvalendosi anche di esperti o di ausiliari dotati di specifiche competenze in materia di violenza e abusi e ciò al fine, da un lato, di tutelare la presunta vittima e, dall’altro, di mettere a confronto le diverse ricostruzioni dei fatti e degli eventi offerte dalle parti.

– quello di disporre d’ufficio la prova testimoniale, la formulazione di capitoli, di acquisire atti e documenti presso uffici pubblici, di acquisire relazioni di intervento e servizio delle forze dell’ordine, nonché di nominare un consulente tecnico d’ufficio che abbia competenza specifica in materia di violenza domestica e di abusi, disponendo, se del caso, anche indagini a cura dei servizi sociali.

Al secondo comma viene precisato che il Giudice, allorquando nomini un CTU o dia incarico ai servizi socio assistenziali di svolgere indagini, debba indicare nel provvedimento la presenza di allegazioni di abusi o violenze, nonché specificare gli accertamenti da compiere e gli accorgimenti necessari da utilizzare per tutelare la vittima ed i minori.

In tutta la fase istruttoria il Giudice dovrà avere cura di garantire il contraddittorio e il diritto alla prova contrari. Quanto al successivo articolo, 473 bis 45 La norma in esame disciplina le modalità di ascolto del minore nei procedimenti aventi ad oggetto violenza domestica o di genere, prevedendo che il Giudice vi provveda personalmente e senza ritardo.

La disciplina delle modalità di ascolto del minore si rinviene agli artt. 473 bis 4 e 473 bis 5, ove si stabilisce che possa essere ascoltato colui che abbia compiuto 12 anni o colui che, ad un’età inferiore, appaia capace di discernimento.

Il Giudice dovrà adoperarsi al fine di assicurare il coordinamento con ogni altra Autorità, compresa l’autorità penale, avendo cura di evitare il contatto diretto tra il minore e l’autore della violenza e dell’abuso.

Il successivo art. 473 bis 46 prevede che << Quando all’esito dell’istruzione, anche sommaria, ravvisa la fondatezza delle allegazioni, il giudice adotta i provvedimenti più idonei a tutelare la vittima e il minore, tra cui quelli previsti dall’articolo 473 bis 70, e disciplina il diritto di visita individuando modalità idonee a non compromettere la loro sicurezza.

A tutela della vittima e del minore, il giudice può altresì disporre, con provvedimento motivato, l’intervento dei servizi sociali e del servizio sanitario.

Quando la vittima è inserita in collocazione protetta, il giudice può incaricare i servizi sociali del territorio per l’elaborazione di progetti finalizzati al suo reinserimento sociale e lavorativo >>.

Quanto alle pronunce dei giudici di merito, trattandosi di un istituto che è entrato in vigore da un anno e mezzo, poco più, abbiamo ancora poche pronunce al riguardo.

Richiamo a beneficio di tutti

Il Decreto emesso dal Tribunale di Roma del 7/02/2024, n. 3901 che ha espresso il principio << La misura dell’ordine di protezione è stata introdotta nell’ordinamento per contrastare il fenomeno della violenza domestica. Peraltro, la difficoltà di provare l’esistenza di questa particolare forma di violenza ne ha limitato l’applicazione pratica. Rimane comunque la possibilità per il giudice di intervenire mediante lo strumento della consulenza tecnica, nell’ambito della quale particolare attenzione deve essere prestata nella scelta della professionalità più adatta alla situazione >>

Il decreto emesso dal Tribunale di Verona del 28/07/2023 n. 22025 esprime altro importante concetto << per quanto riguarda la prima delle due richieste la stessa non può trovare accoglimento atteso che dagli atti del procedimento penale promosso nei confronti del resistente, a seguito della querela sporta dalla ricorrente, che sono stati trasmessi a questo giudice ai sensi dell’art. 473 bis.42, terzo comma c.p.c. risulta che il resistente è tutt’ora sottoposto alla misura cautelare del divieto di avvicinamento alla ricorrente ed al figlio e che la prossima udienza preliminare è fissata per il 27 settembre c.a; pertanto non si vede l’utilità dell’adozione di un ordine di protezione che avrebbe lo stesso contenuto della misura cautelare in atto, senza contare che dagli atti del procedimento penale risulta anche che il resistente avrebbe reiteramenti violato le prescrizioni impostegli dal Gip tanto da indurre il PM ad avanzare una richiesta di aggravamento della misura cautelare, non accolta dal Gup; peraltro non è nemmeno ipotizzabile l’adozione di un ordine di protezione ad effetto differito al momento in cui dovesse cessare la misura cautelare penale, atteso che ciò determinerebbe un’incertezza sul momento iniziale della decorrenza degli effetti della misura di protezione; per converso, qualora la misura cautelare penale dovesse venir meno nel prosieguo potrà essere rivalutata la sussistenza dei presupposti per l’adozione dell’ordine di protezione, a seguito di nuova istanza della ricorrente, poiché, al fine di assicurarne l’osservanza, ad essa potrà essere abbinata l’emissione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 473bis 39 >>.

Uno dei primi provvedimenti adottati in materia risale ad esempio al maggio del 2023, il Tribunale di Napoli Nord << letto il ricorso iscritto il 15/05/2023 e considerato il carico del ruolo; visto l’art. 473 bis. 40 del c.p.c. e la normativa ivi richiamata; tenuto conto della delega al Giudice relatore in materia di rito unificato in materia di persone, minorenni e famiglie operata mediante Decreto Presidenziale n. 13 del 17-2-2023; vista la richiesta di provvedimenti provvisori ex art. 473 bis 15; ritenuto che sussiste il rischio di pregiudizio imminente in ragione dei fatti dedotti e considerato che la convivenza non è allo stato interrotta ma sussiste coabitazione tra i coniugi P.Q.M. autorizza i coniugi a vivere separati (…) >>

Concludo leggendovi un passo erroneamente attribuito a Shakespeare un inno al rispetto delle donne

In piedi signori davanti a una donna: la versione integrale

il testo appartiene ad uno spettacolo teatrale, il Chisciotte (tratto dall’opera di Cervantes) di William Jean Bertozzo.

In piedi,

in piedi, signori, davanti a una donna,

per tutte le violenze consumate su di lei,

per le umiliazioni che ha subito,

per quel suo corpo che avete sfruttato

per l’intelligenza che avete calpestato

per l’ignoranza in cui l’avete tenuta

per quella bocca che le avete tappato

per la sua libertà che le avete negato

per le ali che le avete tarpato

per tutto questo

in piedi, Signori, in piedi davanti a una Donna.

E se ancora non vi bastasse,

alzatevi in piedi ogni volta che lei vi guarda l’anima

perché lei la sa vedere

perché lei sa farla cantare.

In piedi, sempre in piedi,

quando lei entra nella stanza e tutto risuona d’amore

quando lei vi accarezza una lacrima,

come se foste suo figlio!

Quando se ne sta zitta

nasconde nel suo dolore

la sua voglia terribile di volare.

Non cercate di consolarla

quando tutto crolla attorno a lei.

No, basta soltanto che vi sediate accanto a lei,

e che aspettiate che il suo cuore plachi il battito

che il mondo torni tranquillo a girare

e allora vedrete che sarà lei la prima

ad allungarvi una mano e ad alzarvi da terra,

innalzandovi verso il cielo

verso quel cielo immenso

a cui appartiene la sua anima

e dal quale voi non la strapperete mai

per questo in piedi

in piedi

davanti a una donna.